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Santi del 3 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Beato Adalgotto di Coira - Vescovo (3 ottobre)
Martirologio Romano: A Coira in Svizzera, Beato Adalgotto, vescovo, che, discepolo di San Bernardo a Chiaravalle, fu grande benemerito della disciplina monastica.
Ne ignoriamo luogo e data di nascita. Monaco a Citeaux, poi discepolo di san Bernardo di Chiaravalle, forse abate di Disentis nel 1150, venne richiesto come vescovo, probabilmente perché originario della città, dagli abitanti e dal clero di Coira (Chur), in Svizzera, e vi fu consacrato nel
1151 dall'arcivescovo di Magonza.
Diede alla sua vita privata ed al suo episcopato un'impronta di austerità: riformò il clero, ricondusse i monasteri posti sotto la sua giurisdizione ad una più rigida osservanza della regola, sorvegliò i buoni costumi della popolazione.
Fu in rapporti politici col pontefice Stefano III e con l'imperatore Federico I, ma non scese mai a compromessi su quanto riguardava i diritti della Chiesa.
Restaurò chiese e monasteri, tra i quali Cazis, Schännis, Munster, Müstail, San Lucio di Coira; l'11 giugno 1160 consacrò la cripta di Marianberg, come testimonia un'iscrizione, e probabilmente fu lui a promuovere la costruzione della bella cattedrale di Coira.
Morì in età avanzata il 3 ottobre 1160; le sue reliquie, divenute presto oggetto di venerazione, operarono alcuni miracoli.
Il suo nome fu inserito nel Catalogo dei Santi e Beati cistercensi, compilato dall'abate di Citeaux, Giovanni di Cirey, nel 1492, dove sono registrate anche le varianti del nome: Algott, Adelgorio.
Il 4 maggio 1881 la Congregazione dei Riti ne approvò il culto ab immemorabili; le Congregazioni Cistercensi di Mehrerau e di San Bernardo in Italia lo ricordano il 3 ottobre, ma non tutti gli riconoscono il titolo di santo: il Menologium Cisterciense lo dice, infatti, Beato.
(Autore: Goffredo Venuta - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Adalgotto di Coira, pregate per noi.

*Beata Agostina dell'Assunzione - Vergine Mercedaria (3 ottobre)

Etimologia:
Agostina = piccola venerabile, dal latino
La Beata Agostina dell'Assunzione, monaca in Siviglia (Spagna) nel monastero mercedario dell'Assunzione, ogni giorno pregava il Signore per la conversione dei peccatori.
Durante la sua vita fu rallegrata da frequenti apparizioni della Madonna finché ricca di sante opere volò verso la patria del paradiso.
L'Ordine la festeggia il 3 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Agostina dell'Assunzione, pregate per noi.

*Beati Ambrogio Francesco Ferro e 27 Compagni – Martiri (3 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartengono:

“Beati Martiri Cattolici del Brasile”
† Uruaçu, Brasile, 3 ottobre 1645

Martirologio Romano: Sulla riva del fiume Uruaçu vicino a Natal in Brasile, Beati Ambrogio Francesco Ferro, sacerdote, e compagni, martiri, vittime della repressione perpetrata contro la fede cattolica.
Padre Andre Soveral, gesuita brasiliano nato nel 1572 e martirizzato il 16 luglio 1645, nella cappella della Madonna delle Candele a Cunhau, assieme ai suoi fedeli, da una truppa di soldati olandesi.
Padre Ambrosio Francisco Ferro, martirizzato il 3 ottobre 1645, assieme ai suoi parrocchiani, dopo diverse torture, da soldati olandesi e da 200 indios, comandati dal loro capo Antonio Paraopaba.
Il cristianesimo in generale e il cattolicesimo in particolare, possono annoverare nella loro esistenza millenaria, una sfilata di martiri di ogni età, sesso e condizione sociale, che per l’affermarsi nel mondo pagano della nuova religione di fratellanza, uguaglianza, pace e serenità nei cuori e nel sociale, in nome di Cristo versarono in ogni tempo il loro sangue, soffrendo indicibili dolori fisici e morali.
Se tutto questo soffrire, proveniente dai pagani o da religioni diverse dai seguaci di Cristo, alla fine si poteva mettere nel conto, prevedendo la reazione di quanti avevano interesse a non sconvolgere il loro potere sulle masse ciecamente osservanti.
Tanto più odioso è lo scatenarsi sanguinario e persecutorio, di cristiani contro altri cristiani, divisi da interpretazioni dottrinarie, predicate da riformatori sia del clero che laici, succedutasi nei secoli e che hanno portato l’unico grande albero della Chiesa di Cristo, a dividersi in tanti rami scismatici e riformati, che tanto hanno nociuto all’unità del Cristianesimo.
Il movimento riformatore dei Calvinisti, nato dalle idee teologiche e politico-religiose di Giovanni Calvino (1509-1564), fu uno di questi, che nell’intenzione di portare i laici ad una larga e diretta partecipazione alla vita ecclesiastica, costituendo comunità politico-religiose, fortemente omogenee al loro interno, grazie alla stretta dipendenza del potere politico dall’autorità religiosa, si associò in primo piano alle conquiste coloniali nel mondo, fomentando ribellioni e persecuzioni contro i cattolici già presenti in quelle terre.
E in questo panorama qui tracciato in generale, va inquadrata la vicenda del martirio dei 30 cattolici del Brasile, beatificati il 5 marzo 2000 da papa Giovanni Paolo II.
L’evangelizzazione nel Rio Grande do Norte, Stato del Nord-Est del Brasile, fu iniziata nel 1597 da missionari Gesuiti e sacerdoti diocesani, provenienti dal cattolico Portogallo; cominciando con la
catechesi degli indios e con la formazione delle prime comunità cristiane.
Negli anni seguenti ci furono sbarchi di Francesi e Olandesi, intenzionati a scalzare dai luoghi colonizzati i Portoghesi; nel 1630 gli Olandesi ci riuscirono nella regione del Nord-Est, essi di religione calvinista e accompagnati dai loro pastori, determinarono nella zona fino allora pacifica, una conflittualità per cui ci fu una restrizione della libertà di culto e i cattolici furono perseguitati.
In questo contesto avvennero i due episodi del martirio dei Beati di cui parliamo; allora nel Rio Grande do Norte, c’erano soltanto due parrocchie, a Cunhaú la parrocchia della Madonna della Purificazione o delle Candele, guidata dal parroco don Andrea de Soveral e a Natal, la parrocchia della Madonna della Presentazione con parroco don Ambrogio Francesco Ferro.
Ambedue le parrocchie furono vittime della dura persecuzione religiosa calvinista; vi sono pochissime notizie riguardanti i martiri singolarmente, ma i vari scrittori del secolo XVII narrarono gli episodi dettagliatamente.
Presi dal terrore di quanto accaduto a Cunhaú, i cattolici di Natal, cercarono di mettersi in salvo rifugiandosi in alcuni improvvisati rifugi, ma fu tutto inutile.
Insieme al loro parroco don Ambrogio Francesco Ferro, furono inviati dalle autorità olandesi in un posto stabilito ad Uruaçu, dove erano attesi da soldati e da circa 200 indios comandati dal capo indigeno Antonio Paraopaba, il quale convertito al protestantesimo calvinista, aveva una vera e
propria avversione verso i cattolici. I parrocchiani e il loro sacerdote, furono seviziati in modo orribile e lasciati morire fra inumane mutilazioni, che anche il cronista dell’epoca ebbe vergogna a descrivere dettagliatamente.
Di tutti questi numerosi gruppi di fedeli martirizzati, le Autorità ecclesiastiche cercarono di conoscere i nomi, riuscendoci solo per 28 di loro.
Essi sono: Don Ambrogio Francesco Ferro parroco; Antonio Vilela il giovane; Giuseppe do Porto; Francisco de Bastos; Diego Pereira; João Lostau Navarro; Antonio Vilela Cid; Estévão Machado de Miranda; Vicente de Souza Pereira; Francisco Mendes Pereira; João da Silveria; Simão Correia; Antonio Baracho; Mateus Moreira; João Martins; Manuel Rodrigues Moura; la moglie di Manuel Rodrigues; la figlia di Antonio Vilela il giovane; la figlia di Francisco Dias il giovane; 7 giovani compagni di João Martins; 2 figlie di Estévão Machado de Miranda.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Ambrogio Francesco Ferro e 27 Compagn, pregate per noi.

*San Benedetto di Como – Vescovo (3 ottobre)

VII-VIII secolo
Nel catalogo dei vescovi di Como, composto da B. Giovio nel 1532 e pubblicato a Venezia nel 1629, Benedetto occupa il ventunesimo posto.
Poiché al ventitreesimo sta il vescovo Deusdedit (Adeodato), che viveva nel 721, sembra potersi dedurre, se il catalogo è esatto, che Benedetto sia vissuto alla fine del sec. VII o all'inizio del successivo.
Gli estremi del suo episcopato dati dall'Ughelli (680-692) mancano di prove.
Il dies natàlis di Benedetto ricorre il 3 ottobre, ma egli non fu venerato che qualche secolo dopo la morte a causa della rivalità, allora esistente, tra le diocesi di Como e di Milano.
La costruzione della chiesa di San Benedetto a Como, attribuita a Benedetto, risale in realtà al sec. XIV.
Il Santo fu sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli, ora basilica di Sant'Abbondio.
(Autore: Pietro Gini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Benedetto di Como, pregate per noi.

*Santa Candida di Roma - Martire (3 Ottobre)

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Ponziano sulla via Portuense, Santa Candida martire.
É ricordata dal Martirologio Geronimiano il 3 ottobre e poi ancora il 1° e il 2 dicembre, in relazione col martire Pimenio.
Il suo vero dies natalis deve considerarsi il 3 ottobre, data in cui è anche commemorata nel
Martirologio Romano. Ivi è, però, presentata come «Candido», per un errore dovuto a Usuardo, il quale ebbe evidentemente sott'occhio un esemplare corrotto del Geronimiano.
L'itinerario Notitia Ecclesiarum attesta che la Santa vergine Candida era sepolta sulla via Portuense, in una chiesa del cimitero di Ponziano ad ursum pileatum, ricordata ancora nella biografia di Adriano I (Lib. Pont., I, p. 509). Di lei non esiste alcuna passio.
La notizia della passio Pimenii, per cui una matrona Candida avrebbe seppellito il corpo del martire nel cimitero della via Portuense, è probabilmente inventata, e l'origine della leggenda è da cercare nel fatto che i sepolcri dei due Santi si conservavano nel medesimo luogo.
I Bollandisti escludono che la Candida venerata a Santa Prassede e ricordata dal Romano il 29 agosto possa identificarsi con la presente, la cui identità con la Candida del gruppo Artemio, Candida e Paolina sembra, invece, probabile.
(Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Candida di Roma, pregate per noi.

*San Cipriano di Tolone - Vescovo (3 ottobre)

Martirologio Romano: A Toulon nella Provenza in Francia, San Cipriano, vescovo, che, discepolo di san Cesario di Arles, difese in molti concili la retta fede sulla grazia, sostenendo che nessun beneficio si può di per sé trarre dalle realtà divine, se non prima invocato dalla grazia preveniente di Dio.
Ad Arles o a Marsiglia nacque Cipriano uno dei discepoli prediletti del grande san Cesario, dal quale ricevette la sua formazione letteraria e dottrinale. In un brano della sua Vita Caesarii, Cipriano si rammarica umilmente di non aver profittato appieno della familiarità col maestro: «Vae mihi misero Cypriano, qui tam tepidus in discendo extiti, ut modo cognoscam et poeniteam.
Quare de tanti fontis fluentis non tantum hausi, quantum mea indigebat ariditas?».
Ordinato diacono nel 506 da san Cesario stesso, fu da questi consacrato vescovo di Tolone verso il 515; la data di consacrazione non si può determinare con certezza ma, poiché tra i firmatari del concilio provinciale di Arles del 524 Cipriano precede alcuni vescovi che già nel 517 avevano partecipato al concilio di Epaona, si può ritenere che il suo episcopato sia iniziato qualche tempo prima del 517.
Cipriano prese parte a numerosi concili sostenendo Cesario nella lotta contro il semipelagianesimo.
Nel 529, i vescovi della provincia di Vienne si riunirono a Valence per esaminare con spirito critico le definizioni del celebre concilio di Orange «de gratia et libero arbitrio», nel quale la dottrina cattolica era stata espressa con particolare chiarezza e decisione: San Cesario, non potendo intervenire di persona a causa di una indisposizione, inviò Cipriano il quale, con le sue argomentazioni, riuscì a convincere quei vescovi a far proprie le definizioni di Orange, riconoscendo in esse la retta dottrina cattolica.
Quando la Provenza fu incorporata al regno dei Franchi, Cipriano prese parte al concilio nazionale di Orléans del 541, dal quale la dottrina ortodossa, propugnata da san Cesario e dai suoi seguaci, fu diffusa in tutta la Francia. Nel suo testamento san Cesario lasciò a Cipriano il suo «mantum et cinctorium meliorem».
Su richiesta di Santa Cesaria la Giovane, badessa del monastero di Arles, alla morte del grande arcivescovo (543), Cipriano ne compose la Vita che resta una delle migliori opere biografiche del sec. VI. Collaborarono a tale opera i vescovi Firmino e Vivenzio, il presbitero Messiano e il diacono Stefano. Di Cipriano è pervenuta anche una lettera sulla dottrina dell'Incarnazione indirizzata a Massimo, vescovo di Ginevra.
Cipriano morì prima del 549 (anno in cui al concilio nazionale di Orléans partecipò il suo successore, Palladio), forse verso il 546.
Sul principio del sec. XIII si trovarono le sue reliquie che furono poste in onore nella cattedrae di Tolone, in una cappella a lui dedicata: il capo, invece, fu conservato a parte.
In epoca che non è possibile precisare. Cipriano fu proclamato compatrono della città di Tolone e contitolare della cattedrale. Fin dal sec. XVI la sua festa viene solennemente celebrata il 3 ottobre con Messa e Ufficio proprio: forse a questa data si ricorda una traslazione.
Lo stesso giorno egli è celebrato a Marsiglia.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cipriano di Tolone, pregate per noi.

*Beato Crescenzio Garcia Pobo - Sacerdote e Martire (3 ottobre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati Martiri Spagnoli Terziari Cappuccini dell'Addolorata”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, Beato Crescenzo García Pobo, sacerdote del Terz’Ordine di San Francesco degli Incappucciati della beata Vergine Addolorata e martire, che, durante la persecuzione contro la fede, versò il suo sangue per Cristo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Crescenzio Garcia Pobo, pregate per noi.

*Beato Damiano de Portu - Mercedario (3 ottobre)

+ Lerida, Spagna, 1399
Il Beato Damiano de Portu, predicò apertamente Cristo in terra d'Africa dove si trovò per redenzione e qui liberò dalla schiavitù dei saraceni 136 schiavi.
Ritornato in Spagna nel convento di Sant'Eulalia in città di Lerida, emigrò lieto al Signore nell'anno 1399.
L'Ordine lo festeggia il 3 ottobre.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Damiano de Portu, pregate per noi.

*Beato Desiderio Franco - Agostiniano (3 ottobre)

+ 1450
Desiderio, di Villafranca Piemonte, era fratello del Beato Cristiano e lo seguì sulla strada della perfezione.
Come il fratello fu agostiniano, dapprima in Piemonte poi a Napoli. Alla morte del fratello fu eletto vicario generale dei monasteri per il Regno di Napoli, per Roma, l’Umbria e la Toscana.
Morì verso il 1450 e fu sepolto nel Convento di Carbonara, vicino al fratello.
La sua festa ricorreva il 3 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Desiderio Franco, pregate per noi.

*San Dionigi l'Areopagita - Discepolo di San Paolo (3 ottobre)

m. 95 c.
Dionigi viene citato da Luca come uno dei pochissimi ateniesi che seguirono Paolo dopo il discorso all’Areopago.
Un altro Dionigi, vescovo di Corinto del II secolo, scrive che l’Areopagita fu il primo pastore di Atene.
Fu, poi, confuso con l’omonimo protovescovo martire di Parigi, la cui festa cade il 9 ottobre.
Sotto il nome di Pseudo-Dionigi va l’autore (forse un monaco siriaco del V-VI secolo) di celebri scritti largamente diffusi nel Medioevo: tra essi il «De coelesti Ierarchia» e il «De divinis nominibus».
In essi si afferma che Dionigi avrebbe visto l’eclissi della Crocifissione e assistito alla Dormizione di Maria.
Perciò furono attribuiti all’antico ateniese. (Avvenire)
Martirologio Romano: Commemorazione di San Dionigi l’Areopagita, che si convertì a Cristo annunciato da san Paolo Apostolo davanti all’Areopágo e fu costituito primo vescovo di Atene.
É una figura assai misteriosa: un teologo del sesto secolo, il cui nome è sconosciuto, che ha scritto sotto lo pseudonimo di Dionigi Areopagita.
Con questo pseudonimo egli alludeva al passo della Scrittura che abbiamo adesso ascoltato, cioè alla vicenda raccontata da San Luca nel XVII capitolo degli Atti degli Apostoli, dove viene riferito che Paolo predicò in Atene sull'Areopago, per una élite del grande mondo intellettuale greco, ma alla fine la maggior parte degli ascoltatori si dimostrò disinteressata, e si allontanò deridendolo; tuttavia alcuni, pochi ci dice San Luca, si avvicinarono a Paolo aprendosi alla fede.
L’evangelista ci dona due nomi: Dionigi, membro dell'Areopago, e una certa donna, Damaris.
Se l'autore di questi libri ha scelto cinque secoli dopo lo pseudonimo di Dionigi Areopagita vuol dire che sua intenzione era di mettere la saggezza greca al servizio del Vangelo, aiutare l'incontro tra la cultura e l'intelligenza greca e l'annuncio di Cristo; voleva fare quanto intendeva questo Dionigi, che cioè il pensiero greco si incontrasse con l'annuncio di San Paolo; essendo greco, farsi discepolo di San Paolo e così discepolo di Cristo.
Perché egli nascose il suo nome e scelse questo pseudonimo? Una parte di risposta è già stata data: voleva proprio esprimere questa intenzione fondamentale del suo pensiero.
Ma ci sono due ipotesi circa questo anonimato coperto da uno pseudonimo.
Una prima ipotesi dice: era una voluta falsificazione, con la quale, ridatando le sue opere al primo secolo, al tempo di San Paolo, egli voleva dare alla sua produzione letteraria un'autorità quasi apostolica.
Ma migliore di questa ipotesi - che mi sembra poco credibile - è l'altra: che cioè egli volesse proprio fare un atto di umiltà.
Non dare gloria al proprio nome, non creare un monumento per se stesso con le sue opere, ma realmente servire il Vangelo, creare una teologia ecclesiale, non individuale, basata su se stesso.
In realtà riuscì a costruire una teologia che, certo, possiamo datare al sesto secolo, ma non attribuire a una delle figure di quel tempo: è una teologia un po' disindividualizzata, cioè una teologia che esprime un pensiero comune in un linguaggio comune.
Era un tempo di acerrime polemiche dopo il Concilio di Calcedonia; lui invece, nella sua settima Epistola, dice: «Non vorrei fare delle polemiche; parlo semplicemente della verità, cerco la verità».
E la luce della verità da se stessa fa cadere gli errori e fa splendere quanto è buono. Con questo principio egli purificò il pensiero greco e lo mise in sintonia con il Vangelo.
Questo principio, che egli rivela nella sua settima Epistola, è anche espressione di un vero spirito di dialogo: cercare non le cose che separano, cercare la verità nella Verità stessa; essa poi riluce e fa cadere gli errori.
Quindi, pur essendo la teologia di questo autore, per così dire “soprapersonale”, realmente ecclesiale, noi possiamo collocarla nel VI secolo. Perché?
Lo spirito greco, che egli mise al servizio del Vangelo, lo incontrò nei libri di un certo Proclo, morto nel 485 ad Atene: questo autore apparteneva al tardo platonismo, una corrente di pensiero che aveva trasformato la filosofia di Platone in una sorte religione filosofica, il cui scopo alla fine era di creare una grande apologia del politeisimo greco e ritornare, dopo il successo del cristianesimo, all’antica religione greca. Voleva dimostrare che, in realtà, le divinità erano le forze operanti nel cosmo.
La conseguenza era che doveva ritenersi più vero il politeismo che il monoteismo, con un unico Dio creatore.
Era un grande sistema cosmico di divinità, di forze misteriose, quello che mostrava Proclo, per il quale in questo cosmo deificato l'uomo poteva trovare l'accesso alla divinità.
Egli però distingueva le strade per i semplici, i quali non erano in grado di elevarsi ai vertici della verità - per loro certi riti anche superstiziosi potevano essere sufficienti - e le strade per i saggi, che invece dovevano purificarsi per arrivare alla pura luce.
Questo pensiero, come si vede, è profondamente anticristiano. È una reazione tarda contro la vittoria del cristianesimo.
Un uso anticristiano di Platone, mentre era già in corso un uso cristiano del grande filosofo.
È interessante che questo Pseudo-Dionigi abbia osato servirsi proprio di questo pensiero per mostrare la verità di Cristo; trasformare questo universo politeistico in un cosmo creato da Dio – nell'armonia del cosmo di Dio dove tutte le forze sono lode di Dio – e mostrare questa grande armonia, questa sinfonia del cosmo che va dai serafini agli angeli e agli arcangeli, all'uomo e a tutte le creature che insieme riflettono la bellezza di Dio e rendono lode a Dio.
Trasformava così l'immagine politeista in un elogio del Creatore e della sua creatura. Possiamo in questo modo scoprire le caratteristiche essenziali del suo pensiero: esso è innanzitutto una lode
cosmica.
Tutta la creazione parla di Dio ed è un elogio di Dio. Essendo la creatura una lode di Dio, la teologia dello Pseudo-Dionigi diventa una teologia liturgica: Dio si trova soprattutto lodandolo, non solo riflettendo; e la liturgia non è qualcosa di costruito da noi, qualcosa di inventato per fare un'esperienza religiosa durante un certo periodo di tempo; essa è il cantare con il coro delle creature e l'entrare nella realtà cosmica stessa.
E proprio così la liturgia, apparentemente solo ecclesiastica, diventa larga e grande, diventa nostra unione con il linguaggio di tutte le creature. Egli dice: non si può parlare di Dio in modo astratto; parlare di Dio è sempre un hymnèin – un cantare per Dio con il grande canto delle creature, che si riflette e concretizza nella lode liturgica.
Tuttavia, pur essendo la sua teologia cosmica, ecclesiale e liturgica, essa è anche profondamente personale. Egli creò la prima grande teologia mistica. Anzi la parola “mistica” acquisisce con lui un nuovo significato.
Fino a quel tempo per i cristiani tale parola era equivalente alla parola “sacramentale”, cioè quanto appartiene al mystèrion, al sacramento.
Con lui la parola “mistica” diventa più personale, più intima: esprime il cammino dell'anima verso Dio.
E come trovare Dio?
Qui osserviamo di nuovo un elemento importante nel suo dialogo tra filosofia greca e cristianesimo, tra pensiero pagano e fede biblica.
Apparentemente quanto dice Platone e quanto dice la grande filosofia su Dio è molto più alto, è molto più “vero”; la Bibbia appare abbastanza “barbara”, semplice, precritica si direbbe oggi; ma lui osserva che proprio questo è necessario, perché così possiamo capire che i più alti concetti su Dio non arrivano mai fino alla sua vera grandezza; sono sempre impropri.
Le immagini bibliche ci fanno, in realtà, capire che Dio è sopra tutti i concetti; nella loro semplicità noi troviamo, più che nei grandi concetti, il volto di Dio e ci rendiamo conto della nostra incapacità di esprimere realmente che cosa Egli è.
Si parla così – è lo stesso Pseudo-Dionigi a farlo – di una “teologia negativa”.
Possiamo più facilmente dire che cosa Dio non è, che non esprimere che cosa Egli è veramente.
Solo tramite queste immagini possiamo indovinare il suo vero volto che, d'altra parte, è molto concreto: è Gesù Cristo.
E benché Dionigi ci mostri, seguendo Proclo, l'armonia dei cori celesti, in cui sembra che tutti dipendano da tutti, il nostro cammino verso Dio, però, rimarrebbe molto lontano da Lui, egli sottolinea che, alla fine, la strada verso Dio è Dio stesso, il Quale si è fatto vicino a noi in Gesù Cristo.
E così una teologia grande e misteriosa diventa anche molto concreta sia nell’interpretazione della liturgia sia nel discorso su Gesù Cristo: con tutto ciò, questo Dionigi Areopagita ebbe un grande influsso su tutta la teologia medievale, su tutta la teologia mistica sia dell'Oriente sia dell'Occidente, fu quasi riscoperto nel tredicesimo secolo soprattutto da San Bonaventura, il grande teologo francescano che in questa teologia mistica trovò lo strumento concettuale per interpretare l'eredità così semplice e così profonda di San Francesco: Bonaventura con Dionigi ci dice alla fine, che l'amore vede più che la ragione.
Dov'è la luce dell’amore non hanno più accesso le tenebre della ragione; l'amore vede, l'amore è occhio e l'esperienza ci dà più che la riflessione. Che cosa sia questa esperienza, Bonaventura lo vide in San Francesco: è l’esperienza di un cammino molto umile, molto realistico, giorno per giorno, è questo andare con Cristo, accettando la sua croce.
In questa povertà e in questa umiltà – nell’umiltà che si vive anche nella ecclesialità – c'è un’esperienza di Dio che è più alta di quella che si raggiunge mediante la riflessione: in essa tocchiamo realmente il cuore di Dio.
Oggi esiste una nuova attualità di Dionigi Areopagita: egli appare come un grande mediatore nel dialogo moderno tra il cristianesimo e le teologie mistiche dell'Asia, la cui nota caratteristica sta nella convinzione che non si può dire chi sia Dio; di Lui si può parlare solo in forme negative; di Dio si può parlare solo col “non”, e solo entrando in questa esperienza del “non” Lo si raggiunge.
E qui si vede una vicinanza tra il pensiero dell'Areopagita e quello delle religioni asiatiche: egli può essere oggi un mediatore come lo fu tra lo spirito greco e il Vangelo.
Si vede così che il dialogo non accetta la superficialità.
Proprio quando uno entra nella profondità dell'incontro con Cristo si apre anche lo spazio vasto per il dialogo.
Quando uno incontra la luce della verità, si accorge che è una luce per tutti; scompaiono le polemiche e diventa possibile capirsi l'un l'altro o almeno parlare l'uno con l'altro, avvicinarsi.
Il cammino del dialogo è proprio l'essere vicini in Cristo a Dio nella profondità dell'incontro con Lui, nell'esperienza della verità che ci apre alla luce e ci aiuta ad andare incontro agli altri: la luce della verità, la luce dell'amore.
E in fin dei conti ci dice: prendete la strada dell'esperienza, dell'esperienza umile della fede, ogni giorno. Il cuore diventa allora grande e può vedere e illuminare anche la ragione perché veda la bellezza di Dio.
Preghiamo il Signore perché ci aiuti anche oggi a mettere al servizio del Vangelo la saggezza dei nostri tempi, scoprendo di nuovo la bellezza della fede, l'incontro con Dio in Cristo.
(Autore: Papa Benedetto XVI -Udienza Generale 14.05.2008 – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Tra i pochissimi che, udito il forbito discorso tenuto da Paolo all'Aeropago di Atene, aderirono a lui, Luca nomina "Dionigi l'Aeropagita", membro cioè di quel tribunale, e pertanto appartenente all'aristocrazia ateniese, "e una donna di nome Damaris", forse Damalis; secondo una tradizione riferita da San Giovanni Crisostomo essa sarebbe la sposa di Dionigi, ma si tratta soltanto di una supposizione senza prova alcuna.
In una lettera di Dionigi, vescovo di Corinto, contemporaneo di Papa Sotero, scritta agli ateniesi prima del 175, è detto, come ci ha conservato Eusebio, che Dionigi L'Areopagita morì primo vescovo di Atene; solo una leggenda tardiva lo ha identificato con il primo vescovo di Parigi, martirizzato verso il 270.
Tale identificazione troviamo nel Martirologio e nel Breviario Romano, al 9 ottobre Tuttavia nel Vetus Romanum Martyrologium, i due Dionigi sono chiaramente distinti l'uno dall'altro; al 3 ottobre, infatti, si legge: "Athenis, Dionysii Areopagitae, sub Adriano diversis tormentis passi, ut Aristides testis est in opere quod de Christiana religione composuit; e al 9 ottobre: " Parisiis Dionysii episcopi cum sociis suis a Fescennino cum gladio animadversi " (PL, CXXIII, col. 171).
La Cronaca che porta il nome di Lucius Dexter identifica San Dionigi di Parigi con Dionigi l'Areopagita, ma comunemente si nega l'autenticità di questo scritto.
Il primo che identificò i due Dionigi fu Hilduinus, abate di San Dionigi (m. 840), nella Vita San Dionysii.
Sotto il nome di Dionigi l'Areopagita, vengono citati gli scritti, che probabilmente un monaco siriaco, promosso all'episcopato, compose tra il 480 e il 530 e che conobbero il più grande successo ed esercitarono un grande influsso durante tutto il Medio Evo: De coelesti hierarchia; De mystica theologia; De ecclesiastica hierarchia; De divinis nominibus, e dieci epistulae.
Secondo la VII ep., Dionigi e il sofista Apollophanes avrebbero visto l'eclissi del sole nel giorno della crocifissione e secondo De divinis nominibus (III, 2) D. avrebbe assistito alla Dormitio della Ss.ma Vergine.
Da queste notizie leggendarie si è creduto che l'autore di questi scritti fosse Dionigi l'Areopagita, il discepolo di Paolo: il primo ad affermarlo fu il patriarca monofisita Severo di Antiochia (512-18), in una disputa con gli ortodossi a Costantinopoli, sotto Giustiniano I (533).
Ma il portavoce dei cattolici, Hypatios, vescovo di Efeso, osservò che se tali scritti fossero stati di Dionigi, non sarebbero stati ignorati né da San Cirillo, né da Sant’Atanasio: argomentazione, questa, che vale ancor oggi.
(Autore: Francesco Spadafora – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dionigi l'Areopagita, pregate per noi.

*Santi Dionigi, Fausto, Caio, Pietro, Paolo e Compagni - Martiri

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, commemorazione dei Aanti Fausto, Caio, Pietro, Paolo, Eusebio, Cheremóne, Lucio e altri due, i quali, prima sotto l’imperatore Decio e poi sotto Valeriano, per ordine del governatore Emiliano, molto patirono insieme al vescovo San Dionigi come confessori della fede; tra loro Fausto raggiunse, sotto l’imperatore Diocleziano, anche la palma del martirio.
Il Martirologio Romano, il 3 ottobre, ricorda «i Santi martiri Dionigi, Fausto, Caio, Pietro, Paolo e altri quattro i quali ebbero molto da soffrire sotto Decio e poi sotto Valeriano, sottoposti a molti tormenti, meritarono la palma del martirio».
L'individuazione di questo gruppo di martiri alessandrini di cui due, Fausto e Caio, sono ripetuti dallo stesso Martirologio al 4 ottobre, è abbastanza facile, anche se poi le notizie relative alla loro vita e al loro martirio sono scarse.
Dionigi, il primo del gruppo, è il celebre vescovo alessandrino, contemporaneo del papa Dionigi, che nel Romano viene ricordato anche da solo, il 17 novembre.
Qui è posto con un gruppo di confessori, che con lui ebbero molto a soffrire per la fede, prima sotto Decio e poi sotto Valeriano e Gallieno, dei quali si tratta ampiamente, Caio, Fausto, Eusebio, Cheremone, Lucio, Pietro e Paolo, riassuntiva dei due distinti elogi del Romano.
(Autore: Andrea Tessarolo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Dionigi, Fausto, Caio, Pietro, Paolo e Compagni, pregate per noi.

*Sant'Edmondo di Scozia (3 ottobre)

Etimologia: Edmondo = difensore della proprietà, dal tedesco
Figlio di Santa Margherita, regina di Scozia. Figlio di Malcoem Ceanmore (Malcolm III, 1057-1093) e di santa Margherita, dopo aver preso parte agli avvenimenti politici e militari della Scozia accanto a Donal Bane, suo zio paterno, nel 1097 si portò in Inghilterra, dove abbracciò la vita religiosa.
Visse nel monastero cluniacense di Montague (Somerset), e in esso si spense santamente nel 1100. La sua ultima richiesta fu che il suo corpo fosse sepolto in catene come simbolo di penitenza. Il nome di Edmondo compare in antichi calendari il 3 ottobre.

(Autore: Joachim Dolan - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Edmondo di Scozia, pregate per noi.

*Santi Emanuele Rodrigues de Moura e sua moglie - Sposi e Martiri (3 ottobre)

Scheda del Gruppo cui appartiene:

"Santi Ambrogio Francesco Ferro e 27 Compagni" Martiri - 3 ottobre
"Santi 30 Martiri del Brasile - 3 ottobre  

† Uruaçu, Brasile, 3 e 6 ottobre 1645
Manuel Rodrigues de Moura e sua moglie, della quale non ci è giunto il nome, erano tra i fedeli della parrocchia della Madonna della Presentazione a Natal. In seguito al massacro avvenuto il 16 luglio 1645 nella chiesa della Madonna delle Candele a Cunhaú, cercarono rifugio insieme ad altri fedeli e al parroco, don Ambrósio Francisco Ferro. Bloccati dalle autorità olandesi, di confessione calvinista, parroco e fedeli furono condotti sulla riva del fiume Uruaçu: vennero a lungo torturati e morirono in seguito alle sevizie. In seguito alla morte di Manuel, a sua moglie, che lo compiangeva, furono amputati mani e piedi; la donna morì tre giorni dopo il suo sposo, restandogli accanto.
La loro causa, compresa in quella di don Ambrósio Francisco Ferro e dei suoi 27 compagni (alcuni dei quali identificati solo tramite legami di parentela) fu unita a quella di padre André de Soveral e di Domingos Carvalho, tra gli uccisi del 16 luglio 1645: tutti e 30 sono stati beatificati il 5 marzo 2000 e canonizzati domenica 15 ottobre 2017.
Martirologio Romano: Sulla riva del fiume Uruaçu vicino a Natal in Brasile, beati Ambrogio Francesco Ferro, sacerdote, e compagni, martiri, vittime della repressione perpetrata contro la fede cattolica.
Il contesto storico
L’evangelizzazione nel Rio Grande do Norte, Stato del Nord-Est del Brasile, fu iniziata nel 1597 da missionari Gesuiti e sacerdoti diocesani, provenienti dal cattolico Portogallo, cominciando con la catechesi degli indios e con la formazione delle prime comunità cristiane.
Negli anni seguenti ci furono sbarchi di francesi e olandesi, intenzionati a scalzare dai luoghi colonizzati i portoghesi: gli olandesi ci riuscirono nel 1630. Di confessione calvinista, accompagnati dai loro pastori, determinarono nella zona, fino allora pacifica, una restrizione della libertà di culto: in pratica, i cattolici furono perseguitati. All’epoca, nel Rio Grande do Norte, c’erano soltanto due parrocchie: a Cunhaú, la parrocchia della Madonna della Purificazione o delle Candele, guidata dal parroco don André de Soveral, già membro della Compagnia di Gesù; a Natal, la parrocchia della Madonna della Presentazione, il cui parroco era don Ambrósio Francisco Ferro.
Il martirio di Manuel Rodrigues de Moura e sua moglie
Ambedue le parrocchie furono vittime della dura persecuzione religiosa calvinista: i fedeli di Cunhaú furono massacrati il 16 luglio 1645, insieme al loro parroco.
Presi dal terrore di quanto accaduto a Cunhaú, i cattolici di Natal cercarono di mettersi in salvo. Un gruppo di 80 persone improvvisò una palizzata nel territorio di Potengi (odierna São Gonçalo do Amarante), a 25 chilometri da Fortaleza. Fu tutto inutile: uomini, donne e bambini vennero inviati dalle autorità olandesi in un posto stabilito a Uruaçu, nei pressi dell’omonimo fiume.
Il 3 ottobre 1645 furono uccisi lì da alcuni soldati e da circa 200 indios comandati dal capo indigeno Antonio Paraopaba, il quale, convertitosi al protestantesimo calvinista, nutriva una vera e propria avversione verso i cattolici. Tra le vittime del massacro ci fu anche una coppia di sposi. Dei due ci è giunto solo il nome di lui, Manuel Rodrigues de Moura, tramite il racconto di quel che accadde a sua moglie. In seguito all’uccisione del marito, alla donna, che lo compiangeva, furono amputati mani e piedi. Morì al suo fianco, dopo tre giorni di agonia.
Il cammino verso gli altari
Il nulla osta per l’inizio della loro causa, compresa in quella che raggruppava sia le vittime di Cunhaú sia quelle di Natal, almeno le 30 accertate in tutto, porta la data del 6 giugno 1989. L’inchiesta diocesana fu quindi aperta nella diocesi di Natal nello stesso anno e si concluse nel 1994. Il 25 novembre 1994 giunse il decreto di convalida dell’inchiesta diocesana. Il 28 ottobre 1997 si svolse la riunione dei Consultori storici della Congregazione delle Cause dei Santi, cui seguì, nel 1998, la consegna della “Positio super martyrio”. Il 23 giugno dello stesso anno, i consultori teologi si pronunciarono favorevolmente circa il martirio dei 30 brasiliani; il loro giudizio positivo fu confermato, il 10 novembre seguente, dai cardinali e vescovi membri della Congregazione. Il 21 dicembre 1998 il Papa, San Giovanni Paolo II, autorizzava la promulgazione del decreto con cui padre André de Soveral e i suoi compagni venivano dichiarati martiri. Lo stesso Pontefice li ha beatificati il 5 marzo 2000.
Il 23 marzo 2017 Papa Francesco ha approvato i voti favorevoli della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi Membri della Congregazione delle Cause dei Santi circa la loro canonizzazione senza un ulteriore miracolo, celebrata dallo stesso Pontefice domenica 15 ottobre 2017. Di conseguenza, Manuel Rodrigues de Moura e sua moglie risultano essere la seconda coppia di sposi canonizzata insieme, nonché la prima in cui entrambi i membri sono sia martiri, sia Santi.

(Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi Emanuele Rodrigues de Moura e Consorte, pregate per noi.

*Sant'Esichio - Discepolo di Sant'Ilarione (3 ottobre)
IV sec.
Martirologio Romano:
A Maiuma in Palestina, commemorazione di sant’Esichio, monaco, che fu discepolo di Sant’Ilarione e suo compagno di pellegrinaggio.
Secondo la Vita di san Ilarione, di san Girolamo, in gran parte leggendaria, Esichio si fece monaco tra il 328 e il 354 a Majuma, presso la città di Gaza, in Palestina, ed accompagnò il suo maestro in Egitto, una prima volta nel 359 e una seconda nel 362-63.
Dopo essere rientrato a Gaza, dove restaurò il monastero, raggiunse in Sicilia (365) Ilarione e con lui andò ad Epidauro, in Dalmazia, e poi a Cipro. Di qui fece ritorno in Palestina, donde di tanto in tanto si recava a Cipro per vedere il maestro.
Prima di morire, San Ilarione ne scrisse un piccolo testamento in favore di Esichio, lasciandogli il vangelo, gli abiti e un cilicio. Esichio ne portò il corpo a Majuma.
Non sappiamo quando e dove morì; il Baronio ne ha fissato arbitrariamente la festa al 3 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Esichio, pregate per noi.

*Sant'Ewaldo il Nero ed Ewaldo il Bianco - Monaci e Martiri (3 ottobre)

Britannia, VII sec. - † Renania, Germania, 3 ottobre 695
I Santi con questo nome che vengono ricordati oggi, in realtà, sono due: Edwaldo il Bianco ed Edwaldo il Nero, patroni della Westfalia, così chiamati dal colore dei loro capelli. Di origini anglosassoni, nacquero in Britannia nel VII secolo e seguirono nel 690 il loro abate Willibrordo (657-739), che con undici monaci aveva intrapreso la sua opera evangelizzatrice tra i Frisoni occidentali. Nel 695 Willibrordo li inviò ad evangelizzare i Sassoni.
Le loro intenzioni però non poterono attuarsi, perché nello stesso 695, i due monaci subirono il martirio per mano di alcuni fanatici, difensori delle loro tradizioni pagane e timorosi della propagazione del cristianesimo fra il popolo sassone.
Il martirio fu diverso per i due monaci; Ewaldo il Bianco fu trafitto subito con la spada, mentre Ewaldo il Nero fu invece torturato a lungo crudelmente e come narra lo storico anglosassone Beda il Venerabile (672-735), gli assassini infierirono su di lui con orribili mutilazioni; i resti dei due martiri furono gettati nel fiume Reno e ripescati e sepolti poi, da un monaco di nome Tilmon. (Avvenire)
Martirologio Romano: In Sassonia, nell’odierna Germania, due santi martiri di nome Evaldo, il primo detto Nero, l’altro Bianco: sacerdoti di origine inglese, formati sull’esempio di san Villibrordo e dei suoi compagni, passarono in Sassonia e, avendo cominciato a predicare Cristo, catturati dai pagani, subirono il martirio.
La festa dei due santi monaci e martiri Ewaldo, venerati come patroni della Westfalia, viene comunemente celebrata il 3 ottobre, giorno del loro martirio, mentre nella diocesi di Colonia, essi sono festeggiati il 12 ottobre.
I due omonimi monaci, sono anche gli unici a portare questo nome, fra la variegata costellazione dei santi e beati del cattolicesimo.
Di origini anglosassoni, nacquero in Britannia nel VII secolo e seguirono nel 690 il loro abate San Willibrordo (657-739), che con undici monaci aveva intrapreso la sua opera evangelizzatrice tra i Frisoni occidentali, (abitanti della Frisia, antica regione dell’Europa nord-occidentale, oggi divisa fra i Paesi Bassi e la Germania).
Data la loro omonimia, per distinguerli furono soprannominati uno Ewaldo il Bianco (Albus) e l’altro Ewaldo il Nero (Niger) dal colore dei loro capelli; il Nero si distingueva anche per la sua ottima
conoscenza della Sacra Scrittura; ambedue si prodigarono con grande ardore missionario.
Nel 695, San Willibrordo li inviò ad evangelizzare i Sassoni, antica popolazione della Germania di N.O.; le loro intenzioni però non poterono attuarsi, perché nello stesso 695, i due monaci subirono il martirio per mano di alcuni fanatici, difensori delle loro tradizioni pagane e timorosi della propagazione del cristianesimo fra il popolo sassone.
Il martirio fu diverso per i due monaci; Ewaldo il Bianco fu trafitto subito con la spada, mentre Ewaldo il Nero fu invece torturato a lungo crudelmente e come narra lo storico anglosassone San Beda il Venerabile (672-735), gli assassini infierirono su di lui con orribili mutilazioni; i resti dei due martiri furono gettati nel fiume Reno (o in uno degli affluenti che li trascinò poi nel Reno), e ripescati poi, dal monaco ex nobile soldato di nome Tilmon, che li seppellì cristianamente.
I due martiri, furono uccisi secondo alcuni a Laer (presso Steinfurt) e secondo altri ad Aplerbeke (presso Dortmund), ma studi concreti affermano che vennero martirizzati in una località della Renania, a nord di Colonia, dove qualche anno più tardi, Pipino di Heristal (padre di Carlo Martello), fece trasportare le loro reliquie, che furono deposte nella Chiesa di San Clemente, intitolata poi a san Cuniberto, primo evangelizzatore della Germania.
Santa Beda il Venerabile, nel suo “Martirologio”, compose un elogio in onore dei due gloriosi Santi Ewaldo, che poi fu riportato immutato anche da altri scrittori, storici e agiografi, come Floro di Lione, Usuardo, Rabano Mauro, Cesare Baronio.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Ewaldo il Nero ed Ewaldo il Bianco, pregate per noi.

*San Gerardo di Brogne - Abate (3 ottobre)

Nobile del Lomacensis, Gerardo, ancora giovanissimo, era stato preso da un grande ideale religioso. Dopo un'iniziazione alla vita monastica a Saint-Denis, presso Parigi, aveva fondato nelle proprie terre un'abbazia benedettina.
Uomo virtuoso e monaco esemplare, conosciutissimo dalle famiglie potenti delle regioni vicine al suo monastero, attirò prestissimo l'attenzione dei principi, specialmente di Gisleberto di Lotaringia e di Arnaldo di Fiandra che lo chiamarono per risollevare i loro monasteri decaduti. Apostolo infaticabile, Gerardo percorse per venticinque anni la Lotaringia e la Fiandra riformando una dozzina di abbazie.
Morí a Brogne nel 959. Il culto a Gerardo risale al 1131 e Brogne, oggi Saint-Gérard, divenne rapidamente un luogo di pellegrinaggio. La festa del santo è celebrata nelle diocesi di Namur, Gand e Liegi. Reliquie, considerate come autentiche, si conservano a Saint-Gérard (casa parrocchiale e convento dei Padri Assunzionisti), a Maredsous (abbazia), Aubange (casa parrocchiale) e Gand (chiesa di Notre-Dame).
Etimologia: Gerardo = valoroso con la lancia, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nel territorio di Namur, nell’odierno Belgio, san Gerardo, primo abate del monastero di Brogne da lui fondato, che si adoperò per il rinnovamento della disciplina monastica nelle Fiandre e nella Lotaringia e riportò molti cenobi alla originaria osservanza della regola.
Diverse fonti ci informano sulla sua vita ed attività. Prima di tutto la Vita Gerardi, la cui versione attualmente conosciuta, come ha recentemente dimostrato il canonico J. M. De Smet non è stata redatta, come s'è fin qui pensato, allo scopo di correggere i difetti di un testo anteriore; essa non è che una "opera d'edificazione e di polemica, spesso fantastica e talvolta francamente fraudolenta, redatta nel 1074-75; non ci insegna niente di valido su Gerardo.
Il nucleo su cui si è basato l'autore della Vita Gerardi è costituito dalla Translatio Sant'Eugenli, redatta probabilmente nel sec. X, forse tra il 935 e il 937. L'Inventio San Gisleni, scritta da un
monaco che assistette all'incendio del monastero di Saint-Ghislain nel 936 e fu testimonio di molti miracoli e i Miracula Ranieri San Gisleni, redatti verso la metà dell'XI sec. da un altro monaco di Saint-Ghislain, ci informano sull'opera riformatrice di Gerardo nel monastero stesso.
L'Historia monasterii Mosomensis, composta verso il 1033 da un monaco di Mouzon, e un atto ricopiato nel Libertraditionum di Saint-Pierre di Gand testimoniano dell'attività del Santo rispettivamente a Saint-Rémy e nel contado di Fiandra.
Nobile del Lomacensis, Gerardo, ancora giovanissimo, era stato preso da un grande ideale religioso.
Dopo un'iniziazione alla vita monastica a Saint-Denis, presso Parigi, aveva fondato nelle proprie terre un'abbazia benedettina. Uomo virtuoso e monaco esemplare, conosciutissimo dalle famiglie potenti delle regioni vicine al suo monastero, attirò prestissimo l'attenzione dei principi, specialmente di Gisleberto di Lotaringia e di Arnaldo di Fiandra che lo chiamarono per risollevare i loro monasteri decaduti.
Apostolo infaticabile, Gerardo percorse per venticinque anni la Lotaringia e la Fiandra, restaurando e riformando una dozzina di abbazie. Morí a Brogne il 3 ottobre 959.
Il millenario della morte del santo fu occasione di un congresso storico che tenne la sue assise a Maredsous nell'ottobre 1959, e a grandi manifestazioni religiose a Saint-Gérard (prov. di Namur), sede dell'antica abbazia fondata dal riformatore. Il culto a San Gerardo risale al 1131 e Brogne, oggi Saint-Gérard, divenne rapidamente un luogo di pellegrinaggio.
La festa del santo è celebrata nelle diocesi di Namur, Gand e Liegi al 3 ottobre, data nella quale è inserito nel Martirologio Romano. Reliquie, consi derate come autentiche, si conservano a Saint-Gérard (casa parrocchiale e convento dei Padri Assunzionisti), a Maredsous (abbazia), Aubange (casa parrocchiale) e Gand (chiesa di Notre-Dame).

(Autore: Albert D'Haenens - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Gerardo di Brogne, pregate per noi.

*Beato Giovanni Tapia - Mercedario (3 ottobre)

† 1562
Missionario e divulgatore dell'Ordine Mercedario in Guatemala, il Beato Giovanni Tapia, governò saggiamente il suo convento.
Dopo una vita trascorsa come piace a Dio e aver accumulato tanti meriti morì nell'anno 1562.
L'Ordine lo festeggia il 3 ottobre.

(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Giovanni Tapia, pregate per noi.

*Beato Giuliano da Palermo - Monaco (3 ottobre)
Sec. XV
Nella vita di questo Beato siciliano, ci sono episodi che richiamano fatti recentissimi della tormentata cronaca dei nostri giorni, in paesi non lontani e l'un contro l'altro ostili, in guerra fredda o calda, con truppe regolari e bande ribelli, e con la dolorosa catena dei prigionieri e degli ostaggi inermi, dei riscatti e dei ricatti, delle minacce e delle promesse.
Chi non è avvampato, se non di sdegno, di legittima impazienza, davanti al lento procedere di certe trattative, all'incertezza della sorte di tante persone, innocenti o colpevoli? E chi, più in generale, non si lamenta della lentezza di certi negoziati, a volte politicamente importantissimi, che possono mettere in giuoco la pace del mondo e la sorte di interi continenti, ma che si trascinano con esasperante lentezza o con apparente indifferenza?
Invece, nella ricerca di un accordo - tanto più difficile quanto più importante - la buona volontà è la prima e più necessaria condizione, anche in assenza, o in attesa, dei buoni risultati. E per ottenere tali risultati, la regola prima è quella della pazienza, la serena fiduciosa pazienza.
E prima di lamentarsi, o sdegnarsi, della lentezza di certe trattative, si potrebbe ricordare l'esempio del Beato Giuliano, benedettino di Palermo, il quale, sulla metà del '400, compì ben cinque missioni presso il Sultano di Tunisi, per trattare la pace e la restituzione dei prigionieri cristiani, e sempre senza successo, o meglio, finalmente con un successo soltanto parziale.
Il benedettino siciliano era stato inviato a Tunisi, la prima volta nel 1438, l'ultima nel 1452, dallo stesso Re aragonese Alfonso il Magnanimo, e la scelta del monaco per quell'importante e difficile missione si dimostrò felice nonostante le apparenze contrarie, perché la sua calma paziente, la sua bontà, la sua rispettosa cordialità contribuirono molto a mantenere su un piano di amicizia, almeno a livello personale, le relazioni tra i Musulmani e i Regni cristiani.
Del resto, il Beato Giuliano era la persona meglio qualificata a quello scopo. Nato a Palermo, da una nota famiglia dall'insolito nome di Mayali, si era fatto benedettino a Santa Maria delle Ciambre, presso Monreale, perché desideroso soprattutto di vita solitaria, contemplativa più che attiva.
Ma neanche a farlo apposta, il monaco dalla vocazione eremitica dovette, per obbedienza, mescolarsi alle più animate vicende del suo tempo e della sua città, facendo, per carità dei prossimo, ciò che egli non avrebbe mai voluto fare per se stesso.
Dapprima ci fu la creazione di un nuovo ospedale, realizzato con criteri modernissimi, accentrando i vari reparti in un'unica sede, e di cui il Beato Giuliano fu l'animatore per tutta la vita.
Poi, come abbiamo detto, vennero gli anni delle continue traversate da Palermo a Tunisi, e da Tunisi a Palermo, alla ricerca di accordi politici e di prigionieri da riscattare. Finalmente, nella tarda età del monaco, egli fu incaricato di rappresentare, presso il Re, il Parlamento di Palermo.
Appena poteva, però, si ritirava nella solitudine del monastero della Madonna del Romitello, dimenticando le altre cure, come per un bagno ristoratore.
E proprio al santuario del Romitello il suo ricordo oggi sopravvive vivace, come quello di un benefattore del suo popolo, oltre che monaco rigoroso, definito dallo stesso Sultano di Tunisi " amico della fede, cristiano ed eremita ritirato dal mondo ".
(Autore: Archivio Parrocchia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuliano da Palermo, pregate per noi.

*Beato Jesús Emilio Jaramillo Monsalve - Vescovo e Martire (3 ottobre)

Santo Domingo, Colombia, 16 febbraio 1916 – Arauquita, Colombia, 3 ottobre 1989
Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, nato il 16 febbraio 1916 a Santo Domingo, nella provincia di Antioquia e in diocesi di Medellin, entrò nel 1929 nel Seminario dell’Istituto delle Missioni Estere di Yarumal.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 1° settembre 1940, si dedicò a lungo all’insegnamento, prima ai novizi del suo Istituto, poi nel Collegio Ferrini di Medellin. L’11 novembre 1970 fu nominato Vicario Apostolico di Arauca, in precedenza Prefettura Apostolica: fu ordinato vescovo il 10 gennaio 1971, ma compì la presa di possesso il 21 settembre 1984.
Prese pubblicamente posizione contro la guerriglia portata avanti dall’Esercito di Liberazione Nazionale, d’impronta comunista: per questo motivo, il 2 ottobre 1989, fu sequestrato insieme a un seminarista, alla propria segretaria e a tre sacerdoti; furono tutti rilasciati, tranne lui e padre Helmer Muñoz.
Il suo cadavere fu ritrovato l’indomani da quel sacerdote, con segni di torture e di armi da fuoco, nonché privato dei segni della dignità vescovile, ossia l’anello e la croce pettorale. La sua beatificazione è stata fissata all’8 settembre 2017 a Villavicencio, durante il viaggio apostolico di papa Francesco in Colombia, presieduta dallo stesso Pontefice.
I suoi resti mortali sono venerati nella cattedrale di Santa Barbara ad Arauca, in una cappella della navata destra. La sua memoria liturgica è stata fissata al 3 ottobre, il giorno della sua nascita al Cielo.
Famiglia e vocazione
Jesús Emilio Jaramillo Monsalve nacque il 16 febbraio 1916 a Santo Domingo, nella provincia di Antioquia e in diocesi di Medellin, da Alberto Jaramillo, artigiano, e Cecilia Monsalve, casalinga. Fu battezzato il giorno dopo la nascita nella chiesa parrocchiale, intitolata a San Domenico di Guzman. Ebbe una sorella, Maria Rosa, con la quale frequentò le elementari in paese. La famiglia era povera, ma non si lamentava della propria condizione.
I genitori, profondamente credenti, accolsero con gioia la notizia che Jesús Emilio era intenzionato a entrare in Seminario. Non in quello diocesano, bensì in quello dell’Istituto delle Missioni Estere di Yarumal, fondato recentemente da monsignor Miguel Ángel Builes, vescovo di Santa Rosa de Osos. Lo scopo era formare sacerdoti da inviare nelle zone più sprovviste di assistenza spirituale della Colombia.
Nel Seminario delle Missioni Estere di Yarumal
Nel febbraio 1929, Jesús Emilio iniziò quindi a frequentare il Seminario Minore dell’Istituto delle Missioni Estere di Yarumal, a tredici anni compiuti. La comunità era formata da appena settanta ragazzi e cinque sacerdoti, ma era animata da un profondo sentimento missionario, instillato dall’esempio del fondatore.
Dal canto suo, il ragazzo cominciava a dare prova di sé: era dotato di una bella voce, sportivo e amante della lettura. Era di poche parole, tranne quando doveva allenarsi a parlare in pubblico. Soprattutto, si distinse per la dedizione ai doveri di preghiera e di studio.
Novizio, poi sacerdote
Nel 1934 intraprese gli studi in vista del sacerdozio, col biennio di Filosofia. Una volta terminati, iniziò il noviziato: il 3 dicembre 1936, dopo tre mesi, compì la prima promessa di obbedienza.
Tra il 1937 e il 1940 seguì i corsi di Teologia. Se da una parte continuava a eccellere come oratore negli eventi importanti del Seminario, dall’altra cercava di mantenersi umile, servizievole e amichevole verso i compagni, meritandosi così la loro stima e quella degli educatori.
Le tappe verso il sacerdozio si susseguirono: tonsura, ordini minori, diaconato. Fu ordinato infine sacerdote il 1° settembre 1940 e celebrò la Prima Messa nella chiesa del suo paese natale.
I primi incarichi
Dopo aver trascorso qualche tempo con i familiari, padre Jesús Emilio venne inviato dai superiori a Sabanalarga, all’epoca in diocesi di Barranquilla. Ad appena tre settimane dall’ordinazione, poteva scrivere al Rettore, padre Aníbal Muñoz Duque: «Credo che ora il mio spirito sia più capace di apprezzare la grandezza della mia vocazione missionaria. Mi sento talmente Cristo; sento come nasce nelle mie viscere l’enorme amore per le mie pecore».
Quell’esperienza durò appena quattro mesi: nel 1941 fu designato come professore in Seminario. Allo stesso tempo, fu cappellano del carcere femminile di Bogotá, dove produsse un gran fervore spirituale.
Teneva anche ritiri spirituali a sacerdoti e laici, nonché predicazioni in occasione delle solennità liturgiche e della Settimana Santa: in breve, divenne uno dei maggiori oratori sacri del Paese. In più, esercitava il dono del consiglio dirigendo spiritualmente religiose e seminaristi.
Tra il 1942 e il 1944 frequentò la Pontificia Università Saveriana di Bogotá, ottenendo il dottorato in Teologia Dogmatica con una tesi, che ottenne il massimo dei voti, su «La libertà di Nostro Signore Gesù Cristo secondo San Tommaso d’Aquino».
Responsabilità nell’Istituto dei Missionari di Yarumal
A trent’anni, padre Jesús Emilio fu nominato maestro dei novizi. Mantenne l’incarico fino al primo Capitolo Generale dell’Istituto, nel 1950, quando fu eletto Secondo Assistente del Superiore Generale e Rettore del Seminario.
I suoi discepoli ricordano come non avesse perso la sua vitalità (pattinava e andava in bicicletta) e nemmeno la sua risata aperta e cordiale. Non rifuggiva le situazioni difficili, ma si faceva vicino ai suoi figli che aspiravano alla missione. Quando entrava in preghiera, il suo volto era sereno, privo di affettazione, ma segno di una fede sicura.
Nel 1956, in seguito al secondo Capitolo Generale, fu scelto dal nuovo Superiore generale, monsignor Gerardo Valencia Cano, come suo Vicario Delegato con funzioni di Ordinario. Appena tre anni dopo, alle dimissioni di monsignor Cano, divenne lui stesso Superiore generale.
Superiore generale negli anni del Concilio Vaticano II
Durante quel periodo, i Missionari di Yarumal ricevettero il primo invito a varcare i confini della
Colombia: sbarcarono quindi in Africa. Nello stesso tempo, padre Jesús Emilio fondò a Medellin il Collegio Ferrini, intitolato al terziario francescano e docente universitario Contardo Ferrini (beatificato nel 1947): per molti anni fu un centro di eccellenza dedicato alla formazione dei laici.
Il mandato di padre Jesús Emilio come Superiore generale doveva durare dieci anni, ma lui volle che venissero applicate immediatamente le normative appena promulgate durante il Concilio Vaticano II, che prevedevano invece una durata di sei anni.
Libero dagli impegni di governo, prestò servizio nella Conferenza Episcopale Colombiana come Assessore del Consiglio Nazionale dei Laici. Riprese anche la sua attività di docente, insegnando nel Collegio Ferrini di Medellin.
Primo Vicario Apostolico residenziale di Arauca
L’8 gennaio 1970 morì monsignor Luis Eduardo García, Prefetto apostolico di Arauca e Missionario di Yarumal. Poco dopo, la Santa Sede elevò la Prefettura a Vicariato Apostolico: il primo Vicario Apostolico fu padre Jesús Emilio, eletto l’11 novembre 1970.
Fu ordinato vescovo il 10 gennaio 1971 da monsignor Angelo Palmas, Nunzio Apostolico in Colombia; ottenne il titolo vescovile di Strumizza. Come motto, assunse un versetto del profeta Zaccaria (Zac 14,5): «Vigilate! Il Signore viene!».
Il giorno della sua ordinazione episcopale, così pregò nella sua allocuzione: «Concedimi, Signore, il dono immeritato di non deludere le speranze di tanti che confidano nella pochezza delle mie forze,
le quali, come spero, possono diventare irresistibili come la fionda di Davide sostenuto dalla potenza invincibile della tua Grazia».
Il suo episcopato
Il 19 luglio 1984 il Vicariato di Arauca venne elevato a diocesi: monsignor Jaramillo ne divenne il primo vescovo residenziale. Il vasto territorio di cui si occupava includeva due regioni molto diverse tra loro: le Pianure Orientali e la foresta del Sarare. Il vescovo esercitò il suo nuovo ministero in quelle zone, dove era tornata la violenza armata contro i signori che spadroneggiavano sul popolo.
Non mancavano neanche le resistenze da parte del clero: pur di liberare il Paese, alcuni sacerdoti si fecero guerriglieri.
Non era meno evidente la scristianizzazione, che andava avanzando in Colombia.
Monsignor Jaramillo era consapevole di tutto questo: s’impegnò accanitamente per proteggere la vita e la dignità dei suoi fedeli. Diede vita a svariate iniziative in difesa dei diritti umani, soprattutto dei poveri, senza perdere di vista la Parola di Dio.
Creò poi nuove parrocchie e fondò due organismi speciali: l’Istituto San Giuseppe Operaio a Saravena, per la formazione umana e cristiana dei contadini, e l’Équipe dell’Indio, per l’evangelizzazione degli indios del Sarare.
Minacce e persecuzioni
Tutta quest’attività lo rese presto sgradito alle forze che intendevano liberare la Colombia con la violenza, in particolare all’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN). Cominciarono ad arrivargli attacchi diffamatori e calunnie, mentre c’era chi lo definiva tiepido e mediocre, non perdonando i suoi errori umani.
Monsignor Jaramillo, invece, non si lasciava inquietare e perdonava chi lo offendeva. Non si vantava dei doni ricevuti e proseguiva la sua formazione artistica e culturale. Infine e soprattutto, continuava ad annunciare il Vangelo, anche se sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro.
Il sequestro
Sabato 30 settembre 1989, monsignor Jaramillo si diresse a La Esmeralda e di lì, il giorno seguente, a Fortul, dove era atteso in visita pastorale. Il giorno dopo si recò a Puerto Nidio, ancora per la visita pastorale. Era accompagnato da padre Rubín, parroco di Fortul, da padre León Pastor Zarabanda, da padre Helmer Muñoz che guidava il fuoristrada, dal seminarista Germán Piracoca e dalla segretaria della parrocchia di Fortul.
Appena superato un ponte di legno sulla strada tra Fortul e Tame, il mezzo fu fermato da tre uomini, vestiti da contadini e armati. Poco dopo, i tre domandarono chi fosse Jesús Jaramillo Monsalve, senza titoli onorifici; il vescovo rispose.
Con maniere gentili, fecero scendere dalla jeep tutti i passeggeri, poi rifecero la stessa domanda, cui monsignor Jaramillo rispose nuovamente. A quel punto, dissero di aver bisogno di lui per un comunicato da inviare al Governo nazionale, poi domandarono chi sapesse guidare l’automobile.
Si fece avanti padre Helmer, il quale si rese presto conto che il vescovo stava per essere rapito. I sequestratori, membri dell’ELN, ordinarono quindi a tutti gli altri di mettersi sul ciglio della strada e ripartirono, dirigendosi prima verso nord, poi verso est.
Il martirio
Giunti in un luogo isolato, circa verso le sette di sera, fecero scendere il sacerdote e il vescovo e riferirono loro che dovevano aspettare ordini dai loro superiori. Dissero a padre Helmer di allontanarsi, perché solo il vescovo doveva venire con loro.
Di fronte all’insistenza del sacerdote, che non voleva lasciarlo, monsignor Jaramillo lo prese in disparte e gli disse: «Mettiamoci alla presenza del Signore e che sia fatta la sua volontà». Quindi si diedero l’assoluzione a vicenda, poi, per obbedienza, il vescovo chiese al sacerdote di andarsene, così da non complicare le cose.
Anche i sequestratori gli ordinarono di andarsene, promettendo che l’indomani sarebbero tornati con monsignore. Mentre si allontanava, padre Helder sentì le ultime parole di monsignor Jaramillo: «Io parlo con chi devo parlare, ma per favore non fate nulla al mio ragazzo».
Alle prime ore del 3 ottobre, il sacerdote tornò a cercare il suo superiore nel punto che gli era stato indicato dai guerriglieri. Verso le 8, lo trovò morto: aveva segni di tortura e svariate ferite da arma da fuoco. Non portava più l’anello episcopale, né la croce pettorale; la catena da cui pendeva era stata spezzata.
Attraverso l’allora Segretario di Stato vaticano, il cardinal Agostino Casaroli, il Papa san Giovanni Paolo II inviò le sue condoglianze alla Conferenza Episcopale colombiana, dove assicurava preghiere per ottenere «l’eterno riposo per l’anima esemplare del Pastore zelante, che ha dedicato tutta la sua vita al servizio del popolo di Dio predicando riconciliazione e amore cristiano».
La causa di beatificazione
Il 7 luglio 2000 la Santa Sede concesse il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione di monsignor Jaramillo. La fase diocesana si svolse presso la diocesi di Arauca e si concluse il 29 giugno 2006.
In seguito all’esame della “Positio super martyrio” da parte dei Consultori teologi e dei cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, il 7 luglio 2017 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui monsignor Jaramillo poteva essere dichiarato martire.
La sua beatificazione, insieme a quella del sacerdote Pedro María Ramírez Ramos, è stata fissata all’8 settembre 2017 a Villavicencio, nel corso del viaggio apostolico in Colombia di papa Francesco, presieduta dallo stesso Pontefice.
I resti mortali di monsignor Jesús Emilio Jaramillo Monsalve furono sepolti subito dopo la morte nella cattedrale di Arauca. Il 24 agosto 2017 sono stati riesumati e collocati in una cappella nella navata destra della stessa cattedrale.
La sua memoria liturgica è stata fissata al 3 ottobre, il giorno della sua nascita al Cielo.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, pregate per noi.

*Beato José María González Solís - Sacerdote Domenicano, Martire (3 ottobre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data
(Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data
(Celebrazioni singole)
Santibáñez de Murias, Spagna, 15 gennaio 1877 - Bilbao, Spagna, 3 ottobre 1936

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato José María González Solís, pregate per noi.

*Beato José María Poyatos Ruiz - Martire (3 ottobre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli della Diocesi di Jaén" Senza Data (celebrazioni singole)
Vilches, Spagna, 20 ottobre 1914 - Úbeda, Spagna, 3 ottobre 1936
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Martire della guerra civile spagnola, morì a 21 anni guardando in faccia i carnefici mentre gridava «Viva Cristo Re!». Beatificato il 13 ottobre 2013.
Proprietario di un negozio di alimentari nel paesino di Rus, non riusciva mai a far fruttare tutte le potenzialità della sua attività. Non perché non sapesse gestirla, ma perché José María Poyatos Ruiz, con le sue numerose opere di carità, non voleva lasciare senza cibo nemmeno chi non sarebbe mai riuscito a ripagarlo. José María nacque nel 1914 a Vílches, Jaén, tredicesimo di 15 fratelli e nello stesso paese spagnolo fu assassinato dal Fronte popolare nel 1936, durante la terribile ondata di persecuzioni anticattoliche da parte dei repubblicani.
È uno dei 522 martiri della guerra civile iberica che saranno beatificati il prossimo 13 ottobre a Tarragona. Chi lo aveva conosciuto, lo descrisse ai postulatori della sua causa come un giovane cattolico che testimoniava con spontanea normalità la sua fede tra i giovani.
I suoi amici lo ricordavano come «bello, affettuoso e mai timoroso di parlare della propria fede in questi tempi difficili».
Il ragazzo si trasferì a Ubeda, per le difficoltà economiche in cui versava, ma anche per l’inasprimento delle persecuzioni anticattoliche. Qui trovò lavoro in una fabbrica di oli e vino, mentre nel centro parrocchiale di San Nicola di Bari si distingueva fra i membri dell’Azione Cattolica e dell’Adorazione notturna.
José María comprendeva bene gli eventi che stavano travolgendo la Spagna ma rimase fermo nella fede pur sapendo che la Chiesa avrebbe sofferto la persecuzione. Ne era cosciente al punto da prevedere il sua stesso martirio. «Il giorno di Santa Teresina e di San Francesco non ti dimenticherò mai», disse alla sorella Maria. «Verranno loro da me, perché io di certo non ho
intenzione di cercare la morte, e mi porteranno nel posto in cui devo andare per testimoniare; laggiù, per quanto mi chiederanno non dirò nulla contro niente e nessuno; puoi stare tranquilla.
Poi mi legheranno e mi porteranno verso il luogo destinato».
Era la descrizione esatta di quello che gli sarebbe accaduto poco tempo dopo: all’età di 21 anni, il 3 ottobre 1936, giorno della festa di santa Teresa del Bambino Gesù, José María fu perquisito, arrestato, portato a testimoniare, poi legato con le mani al petto e trasferito al cimitero dove, accanto alla croce sull’entrata, fu fatto girare di spalle. Lui, con grande coraggio, chiese di morire guardando in faccia i suoi assassini, i quali lo accontentarono. I colpi sparati dai fucili degli assassini repubblicani, però, non riuscivano ad attraversare il torace di José María, rimbalzando miracolosamente indietro mentre lui gridava: «Viva Cristo Re!».
Ciò provocò una furia ancora maggiore nei suoi carnefici, che con un colpo alla testa gli ruppero l’osso del collo uccidendolo.

(Autore: Benedetta Frigerio - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato José María Poyatos Ruiz, pregate per noi.

*Beata Maddalena la Maggiore - Vergine Mercedaria (3 ottobre)

Chiamata la Maggiore, la Beata Maddalena, religiosa mercedaria del monastero dell'Assunzione in Siviglia (Spagna), rifulse per l'innocenza e la santità della vita.
Finché abbondantemente piena di doni celesti emigrò verso lo Sposo eterno.
L'Ordine la festeggia il 3 ottobre.

(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Maddalena la Maggiore, pregate per noi.

*Beato Manuel Lucas Ibáñez - Sacerdote e Martire (3 ottobre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio" Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Fondón, Spagna, 11 giugno 1879 – Berja, Spagna, 3 ottobre 1936
Manuel Lucas Ibáñez nacque a Fondón, in provincia e diocesi di Almería, il 11 giugno 1879.
Fu ordinato sacerdote nel maggio 1904. Era parroco della parrocchia di Fuente Victoria quando morì in odio alla fede cattolica il 3 ottobre 1936, a Berja.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Manuel Lucas Ibáñez, pregate per noi.

*Santi 30 Martiri del Brasile (3 ottobre)

† Cunhaú, Brasile, 16 luglio 1645 e Uruaçu, Brasile, 3 ottobre 1645
Il 16 luglio 1645, all’interno della chiesa della Madonna delle Candele a Cunhaú, nello Stato del Nord-Est del Brasile, furono massacrati padre André Soveral, gesuita di nazionalità brasiliana, e circa 69 fedeli.
Durante la celebrazione della Messa, un gruppo di soldati olandesi, di confessione protestante calvinista, fece irruzione insieme a numerosi indios: padre André interruppe la celebrazione e guidò
la comunità nelle preghiere degli agonizzanti, finché, insieme a loro, non morì ucciso a fil di spada.
Alcuni mesi dopo, il 3 ottobre 1645, fu la volta dei fedeli della parrocchia della Madonna della Presentazione di Natal: insieme al loro parroco, don Ambrosio Francisco Ferro, furono deportati dagli olandesi a Uruaçu, dove furono mutilati e lasciati morire.
La maggior parte dei nomi di questi martiri non ci è pervenuta, ma nell’elenco generale ne sono stati inclusi 30. Padre André de Soveral, don Ambrosio Francisco Ferro, il laico Mateus Moreira e i loro 27 compagni sono quindi stati beatificati da San Giovanni Paolo II il 5 marzo 2000.
Il 23 marzo 2017 Papa Francesco ha approvato i voti favorevoli della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi Membri della Congregazione delle Cause dei Santi circa la loro canonizzazione senza un ulteriore miracolo, fissata a domenica 15 ottobre 2017.
Il dolore delle persecuzioni tra cristiani
Il cristianesimo in generale e il cattolicesimo in particolare, possono annoverare, nella loro esistenza millenaria, una sfilata di martiri di ogni età, sesso e condizione sociale, che per l’affermarsi nel mondo pagano della nuova religione versarono il loro sangue nel nome di Cristo.
Se tutto questo soffrire si poteva mettere in conto se proveniva da pagani, o meglio, da uomini che seguivano religioni diverse da quella dei seguaci di Cristo, tanto più odioso è lo scatenarsi delle persecuzioni di cristiani contro altri cristiani, divisi da interpretazioni dottrinarie, predicate da riformatori sia del clero che laici, nel corso dei secoli.
Il movimento riformatore dei Calvinisti, nato dalle idee teologiche di Giovanni Calvino (1509-1564), fu uno di questi. Nell’intenzione di portare i laici ad una larga e diretta partecipazione alla vita ecclesiastica, costituì comunità politico-religiose, fortemente omogenee al loro interno.
In conseguenza della stretta dipendenza del potere politico dall’autorità religiosa, si associò in primo piano alle conquiste coloniali nel mondo, fomentando ribellioni e persecuzioni contro i cattolici già presenti in quelle terre.
In questo panorama va inquadrata la vicenda del martirio di André de Soveral e Ambrosio Francisco Ferro, sacerdoti, del laico Mateus Moreira e dei loro 27 compagni.
Il contesto storico
L’evangelizzazione nel Rio Grande do Norte, Stato del Nord-Est del Brasile, fu iniziata nel 1597 da missionari Gesuiti e sacerdoti diocesani, provenienti dal cattolico Portogallo, cominciando con la catechesi degli indios e con la formazione delle prime comunità cristiane.
Negli anni seguenti ci furono sbarchi di francesi e olandesi, intenzionati a scalzare dai luoghi colonizzati i portoghesi: gli olandesi ci riuscirono nel 1630. Di confessione calvinista, accompagnati dai loro pastori, determinarono nella zona, fino allora pacifica, una restrizione della libertà di culto: in pratica, i cattolici furono perseguitati.
All’epoca, nel Rio Grande do Norte, c’erano soltanto due parrocchie: a Cunhaú, la parrocchia della Madonna della Purificazione o delle Candele, guidata dal parroco don André de Soveral, già membro della Compagnia di Gesù; a Natal, la parrocchia della Madonna della Presentazione, il cui parroco era don Ambrosio Francisco Ferro.
I 30 martiri brasiliani
Ambedue le parrocchie furono vittime della dura persecuzione religiosa calvinista: i fedeli di Cunhau furono massacrati il 16 luglio 1645 col loro parroco, mentre quelli di Natal, insieme a don Ambrosio, cercarono invano di fuggire, ma vennero catturati, portati a Uruaçu e lasciati morire dopo aver subito gravi mutilazioni.
Sono disponibili pochissime notizie riguardanti i martiri singolarmente, ma i vari scrittori del secolo XVII narrarono dettagliatamente gli episodi dei loro massacri. Quanto si sa di essi è disponibile nelle schede di gruppo, riportate più sotto. Nemmeno i nomi di tutti ci sono pervenuti: per questo motivo, le autorità ecclesiastiche hanno ridotto l’elenco a soli 30 personaggi, nell’avviare la loro causa di beatificazione.
Il cammino verso gli altari
Il nulla osta per l’inizio della causa porta la data del 6 giugno 1989. L’inchiesta diocesana fu quindi aperta nella diocesi di Natal nello stesso anno e si concluse nel 1994. Il 25 novembre 1994 giunse il
decreto di convalida dell’inchiesta diocesana.
Il 28 ottobre 1997 si svolse la riunione dei Consultori storici della Congregazione delle Cause dei Santi, cui seguì, nel 1998, la consegna della “Positio super martyrio”. Il 23 giugno dello stesso anno, i consultori teologi si pronunciarono favorevolmente circa il martirio dei 30 brasiliani; il loro giudizio positivo fu confermato, il 10 novembre seguente, dai cardinali e vescovi membri della Congregazione.
Il 21 dicembre 1998 il Papa, san Giovanni Paolo II, autorizzava la promulgazione del decreto con cui padre André de Soveral e i suoi compagni venivano dichiarati martiri. Lo stesso Pontefice li ha beatificati il 5 marzo 2000.
Il 23 marzo 2017 Papa Francesco ha approvato i voti favorevoli della Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi Membri della Congregazione delle Cause dei Santi circa la loro canonizzazione senza un ulteriore miracolo, fissata a domenica 15 ottobre 2017.
L’elenco dei martiri
André de Soveral, sacerdote della diocesi di Natal Domingos de Carvalho, laico - † 16 luglio 1645 a Cunhaú
Ambrogio Francesco Ferro, sacerdote della diocesi di Natal
Antonio Vilela il giovane, laico

Giuseppe do Porto, laico
Francisco de Bastos, laico
Diego Pereira, laico
João Lostau Navarro, laico
Antonio Vilela Cid, laico
Estévão Machado de Miranda, laico
Vicente de Souza Pereira, laico
Francisco Mendes Pereira, laico
João da Silveria, laico
Simão Correia, laico
Antonio Baracho, laico
Mateus Moreira, laico
João Martins, laico
Manuel Rodrigues Moura, laico
la moglie di Manuel Rodrigues
la figlia di Antonio Vilela il giovane
la figlia di Francisco Dias il giovane
7 giovani compagni di João Martins
2 figlie di Estévão Machado de Mirando - † 3 ottobre 1645 a Uruaçu

(Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*San Massimiano di Ksar Bagai - Vescovo (3 ottobre)

† 410 circa
Martirologio Romano: Commemorazione di san Massimiano, vescovo di Bagaï in Numidia, nell’odierna Algeria, che, dopo avere più volte patito dagli eretici atroci torture, fu infine gettato da una torre e abbandonato come morto; ma, raccolto poi dai passanti e sanato, non desistette dal lottare per la fede cattolica.
Ksar Bagai è l’antica città romana di Bagai, oggi deserta, a circa cento Kilometri in linea d’aria da Costantina, una delle sedi vescovili della Numidia, ma purtroppo anche una delle roccheforti dell’eresia donatista.
Massimiano, che ne fu vescovo nei primi anni del secolo V, ci è noto solo per ciò che ne scrive sant'Agostino: da questi sappiamo che era stato donatista, ma che, essendosi riconciliato con la Chiesa, aveva indirizzato al concilio di Milevi (27 agosto 402) una lettera con la quale sollecitava le proprie dimissioni, sperando ossi di calmare le agitazioni dei donatisti della Sua città.
Si trovò: invece esposto al loro odio, poiché il concilio aveva accettate le sue dimissioni, ma nel contempo lo aveva mantenuto nella sua sede.
Lo troviamo infatti ancora vescovo nel 404, anno nel quale le lotte religiose, già prima molto accese, scoppiarono violente: i donatisti incendiarono perfino una basilica e ne bruciarono i libri sacri; in più, avendo Massimiano emesso una sentenza relativa ad una basilica eretta sul fondo Calvianum, da loro usurpata, si scatenarono ferocemente contro di lui, lo inseguirono fin sotto l’altare dov’egli tentava di rifugiarsi, lo colpirono selvaggiamente, gli strapparano le vesti, lo trascinarono e, strappatolo dalle mani dei cattolici che erano accorsi a liberarlo, lo batterono di nuovo, e di notte lo gettarono dall’alto di una torre. L’infelice cadde sopra un mucchio di immondizie e lì fu rinvenuto e raccolto miracolosamente ancora vivo.
Ormai, anche in Italia, dov’era giunta eco di quelle atrocità, lo si credeva morto; ma Massimiano sopravvisse; pare anzi che abbia potuto sostenere il viaggio fino a Roma, dove l’imperatore Onorio, turbato alla vista delle sue cicatrici e sollecitato, inoltre, dalla delegazione inviata dal concilio di Cartagine del 404, emanò, nel febbraio 405, nuovi e più severi editti contro i donatisti.
Con tutto ciò le agitazioni non finirono; quanto a Massimiano non ne sappiamo più nulla; nessun martirologio antico lo ricorda; né abbiamo traccia di culto antico; il Baronio, però, lo introdusse nel Martirologio Romano al 3 ottobre basandosi sui testi di Sant'Agostino che, invero, sono ancora oggi una testimonianza vigorosamente commossa.

(Autore: Pietro Bertocchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Massimiano di Ksar Bagai, pregate per noi.

*Nostro Signore della Misericordia (3 ottobre)

Apparizione: 3 ottobre 1847
Domenica 3 ottobre 1847, più di 2000 persone videro a Ocotlán, in Messico, un’immagine perfetta di Gesù Cristo crocifisso apparsa in cielo per oltre 30 minuti.
Approvato dall’arcidiocesi di Guadalajara nel 1911, il fenomeno è noto come “miracolo di Ocotlán” ed ebbe luogo il giorno prima di un terremoto che uccise 40 persone e ridusse in macerie la città dello Stato di Jalisco.
Prima dell’inizio della Messa al cimitero della cappella dell’Immacolata Concezione, presieduta dal vicario parrocchiale, padre Julián Navarro, due nuvole bianche si unirono in cielo e apparve l’immagine di Cristo.
I presenti e chi abitava nelle città vicine rimasero profondamente colpiti, fecero atti di contrizione e gridarono “Misericordia, Signore!” Questa apparizione di Cristo venne chiamata “il Signore della Misericordia”, e in suo onore nel settembre 1875 venne benedetta, consacrata e dedicata una nuova parrocchia.
Tra i fedeli che testimoniarono il miracolo c’erano anche padre Julián Martín del Campo, pastore della comunità, e Antonio Jiménez, il sindaco locale. Entrambi inviarono delle lettere ai rispettivi superiori riferendo ciò che era accaduto.
Dopo il miracolo, venne scritto un resoconto dell’evento con la testimonianza di 30 testimoni oculari. Cinque anni dopo, nel 1897, per ordine dell’allora arcivescovo di Guadalajara, Pedro Loza y Pardavé, venne scritto un nuovo resoconto con altri 30 testimoni, tra i quali cinque sacerdoti.
Il 29 settembre 1911, l’arcivescovo di Guadalajara dell’epoca, José de Jesús Ortiz y Rodríguez,
firmò un documento che avvalorava l’apparizione di Cristo a Ocotlán e la devozione e la venerazione della gente della zona alla statua di Nostro Signore della Misericordia, collocata nel santuario omonimo.
“Dobbiamo riconoscere come fatto storico, perfettamente provato, l’apparizione della beata immagine di Gesù Cristo crocifisso… e che non avrebbe potuto essere opera di un’allucinazione o di una frode, visto che è avvenuta in pieno giorno, davanti a più di 2000 persone”, affermò il cardinale.
Il porporato dichiarò anche che perché il Signore della Misericordia non venisse mai dimenticato i fedeli dovevano “riunirsi in qualsiasi modo possibile, dopo aver purificato la propria coscienza con i santi sacramenti della Penitenza e della Santa Comunione, e giurare solennemente alla presenza di Dio, per se stessi e per i loro discendenti, che anno dopo anno avrebbero celebrato l’anniversario del 3 ottobre”. Dopo l’approvazione e per conformarsi alle disposizioni dell’arcivescovo di Guadalajara, nel 1912 si avviarono festeggiamenti pubblici in onore del Signore della Misericordia, ricordando il miracolo del 1847. Le celebrazioni attualmente durano 13 giorni, dal 20 settembre al 3 ottobre.
Nel 1997 San Giovanni Paolo II ha inviato la sua benedizione apostolica alla popolazione di Ocotlán in occasione del 150° anniversario del miracolo.
(Autore: Roberta Sciamplicotti - Fonte: Aleteia)

*Beato Raimundo Castaño González - Sacerdote Domenicano, Martire (3 ottobre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 522 Martiri Spagnoli" Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Mieres, Spagna, 20 agosto 1865 - Bilbao, Spagna, 3 ottobre 1936
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Raimundo Castaño González, pregate per noi.

*Beato Utto (Udo) di Metten - Abate (3 ottobre)

Milano, 750 ca. - Metten (Baviera), 3 ottobre 829
Il Beato Udo (Utto) era monaco della celebre abbazia benedettina di Reichenau, sul lago di Costanza. Nel 766 alla nascita del chiostro di Metten, in Baviera, vi si trasferì con 12 compagni. Alcune fonti dicono che il fondatore era il suo padrino Gamelberto. Altre attribuiscono la fondazione allo stesso monaco o, addirittura, a Carlo Magno.
Certo è che Udo fu il primo abate. È spesso raffigurato con un'ascia in mano, perché si dice abbia provveduto personalmente al disboscamento dell'area del monastero. È protettore dei coloni. Morto nell'829, il suo culto è stato confermato da Pio X nel 1909. (Avvenire)
Patronato: Coloni
Martirologio Romano: Nel monastero di Metten nella Baviera, in Germania, Beato Utto, fondatore e primo abate.
La vita del Beato Utto si interseca fino ad un certo punto con quella del beato Gamelberto, parroco bavarese; i due beati ebbero il culto confermato per entrambi, il 25 agosto 1909 da papa s. Pio X.
Utto il cui nome sembra una variante di Otto, Ottone, Odone, nacque a Milano verso il 750 e sarebbe stato battezzato da Gamelberto, parroco di Michaelsbuch in Baviera, che era di passaggio a Milano durante il suo pellegrinaggio alla tomba degli Apostoli a Roma.
L’anonima “Vita Gamelberti” è la più antica fonte dove si attingono le notizie che riportiamo; Gamelberto nel suo viaggio di ritorno, avendo presagito la santità del piccolo Utto, si recò dai genitori chiedendo di affidarglielo, per dare al fanciullo un’ istruzione e una formazione religiosa.
I genitori acconsentirono e dopo un certo tempo, diventato un’adolescente, Utto raggiunse il suo padrino Gamelberto, dal quale fu educato al sacerdozio, succedendogli poi dopo la sua morte (802) nella parrocchia di Michaelsbuch, dove restò per molti anni, svolgendo con fervore il suo ministero.
Poi addolorato nel vedere i costumi cattivi del paese, che non volevano cambiare e per sfuggire ai tumulti della guerra che imperversava in Baviera, prese a desiderare la solitudine, per cui si ritirò in una selva sulla riva sinistra del Danubio, stabilendosi presso una fonte arida, che secondo la tradizione prese a sgorgare prodigiosamente per le sue preghiere; fonte che dal suo nome verrà chiamata “Uttobrunn”.
In quel posto si costruì una piccola cella, dove visse in preghiera e rigorosa penitenza, senza tralasciare di scendere qualche volta tra i paesani, per portare loro la parola di Dio.
La fama della sua santità si diffuse ben presto per tutta la regione e Utto venne considerato da tutti un uomo di Dio. Anche Carlo Magno che un giorno mentre cacciava nella foresta, incontrò Utto, rimanendo stupito per un prodigio compiuto dal santo eremita, che aveva appeso l’ascia ai raggi del sole; l’imperatore gli chiese se aveva un desiderio, che lui avrebbe senz’altro esaudito.
Allora Utto chiese che sullo stesso posto venisse costruito un monastero in onore di San Michele, con la regola benedettina; e così a Metten vicino a Deggendorf nella Baviera Inferiore, sorse nel 792 il monastero richiesto, del quale lo stesso Carlo Magno nominò come abate Utto.
Della nuova comunità di monaci, forse pervenuti da Reichenau, il novello abate seppe essere modello di padre e cultore della perfezione religiosa. Utto morì nel suo monastero di Metten il 3 ottobre 829 e sepolto in mezzo al coro della chiesa conventuale, divenendo la sua tomba subito meta di devoti pellegrinaggi.
La festa del beato il cui culto immemorabile gli fu come prima detto confermato nel 1909, si celebra nell’Ordine Benedettino e nella diocesi di Ratisbona il 3 ottobre.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Utto di Metten, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (3 ottobre)

*Beato Luigi Talamoni - Sacerdote
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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